Descrizione Progetto

Sabato mattina, poco dopo le sei, completiamo gli equipaggi automobilistici a Desenzano e in sedici (due le signore) partiamo alla volta della val San Nicolò, laterale della val di Fassa (TN).
Una doverosa pausa “tecnica” all’imbocco della val di Fiemme e senza intoppi raggiungiamo il parcheggio in località Sauch.
Sette amici oggi saliranno al rifugio Passo s. Nicolò, percorrendo inizialmente la stradina, tra pascoli e piccole baite, un tempo adibite a fienili, accanto alle quali uno scultore ha ricavato da tronchi tuttora radicati nel terreno, alcune figure umane e fiabesche a grandezza naturale. Più avanti alla destra orografica della valle, devieranno sul sentiero che si inoltra in buona parte nel bosco di conifere, e risale il versante sudoccidentale della cresta spartiacque con la val Contrin, continuando su prati dai quali si vede la parete di un canalone dall’insolita stratificazione di roccia con venature sovrapposte dalle tinte decisamente in contrasto.
Noi altri nove, a ritroso dal parcheggio, ripercorriamo poco meno di un paio di chilometri, ed iniziamo la risalita del ripido sentiero di avvicinamento alla profonda spaccatura, dove ci attende la ferrata Magnifici 4, intitolata ai quattro soccorritori periti nel 2009 sotto una valanga in val Lasties, durante un intervento di salvataggio.
Questa via è classificata – estremamente difficile – e da quanto si legge in rete, è davvero una delle più impegnative, soprattutto psicologicamente in alcuni passaggi che mettono a dura prova le braccia ed il morale. Gli aiuti artificiali, a parte il normale cavo d’acciaio, sono ridotti al minimo ed il dislivello è di 600 m, interrotto circa a meta da una ripida balza coperta di vegetazione.
I primi 20/30 metri sono verticali e la roccia, perennemente sporca di sabbia sottile, rende meno efficace l’aderenza delle suole. In seguito la pendenza si attenua leggermente a beneficio delle braccia, quindi riprende a salire in diagonale assecondando la conformazione geologica del gigantesco camino, fino ad una breve discesa su un terrazzino di alcuni metri, alle cui spalle c’è un accenno di grotta. Qui si può riprendere fiato prima di un’ulteriore tratto verticale che porta al
traverso più repulsivo: la parete è liscia e strapiombante, i piedi poggiano su un paio di segmenti di alcuni metri ciascuno, di cavo basculante ancorato alla roccia e contemporaneamente si devono trasferire i moschettoni per superare i vari fittoni. Mentre attendo i primi che mi seguono, per sentire dal passaparola se tutto procede bene, da una decina di metri più in alto un tizio richiama la mia attenzione con voce ansiosa ed in evidente apprensione, raccomandandomi di non salire perché lui si è bloccato e fa da “tappo”, non ha più forza nelle braccia, gli tremano le gambe ed ammette di essere in panico; mi informa che sono in tre, uno lo sta aspettando poco più sopra ed un altro è andato a chiedere aiuto per toglierlo d’impaccio e liberare la via, ma non siamo ancora a metà della salita e per arrivare al rifugio e dare l’allarme, ci vorrà un sacco di tempo.
Intanto sopraggiungono tutti i componenti il nostro gruppo e una copia di ragazzi incontrata all’attacco, infine un tipo un po’ originale, almeno per l’abbigliamento: indossa un casco completamente sverniciato e una tuta da lavoro arrotolata in vita che lo lascia a torso nudo, lo zaino, sdrucito e assolutamente non tecnico sembrerebbe vuoto (forse ha qualcosa da bere). Dalla disinvoltura con cui è salito ed ha sorpassato alcuni dei presenti, si intuisce la sua buona conoscenza dell’ambiente in cui ci troviamo, dichiara di avere premura senza spiegarne il motivo e dopo un breve conciliabolo, gli passiamo una mezza corda con qualche moschettone e sale per tentare di tirare su il malcapitato.
Il nostro Saverio, rocciatore di provate capacità, lo segue per dare una mano e finalmente. Dopo una buona mezz’ora di attesa possiamo proseguire (sapremo in seguito che in questa stagione, per ben due volte ha dovuto intervenire l’elisoccorso a prelevare persone bloccate).
Tutti i nostri superano egregiamente il passaggio critico e raggiunta la balza intermedia ci raggruppiamo.
La seconda parte non molla, né come verticalità, né come impegno fisico, se si esclude una breve cengia e qualche staffa in più nella parte terminale (deduco che chi ha realizzato questa ferrata, ha capito che nonostante rimanga invariato il livello di difficoltà, a questo punto le energie potrebbero essere limitate e qualche aiuto artificiale diventa necessario).
All’uscita, al limitare del prato, ci togliamo gli imbraghi, asciughiamo un po’ il sudore aspettando gli ultimi, scattiamo qualche foto e ci trasferiamo nel vicino accogliente rifugio Baita Cuz dove ci riposiamo e ristoriamo, per recuperare un po’ di forze.
Si riparte. Saliamo alla cima Valvacin, la prima delle svariate che fanno parte della cresta che dovremo percorrere. Tra un contrattempo e l’altro abbiamo accumulato un notevole ritardo, e lungo il sentiero 613-613B, che porta al passo San Nicolò, i nuvoloni scuri che si addensano a levante, lasciano presagire ciò che temevo e che avrei voluto evitare: in queste valli il temporale pomeridiano è normale ed oggi non farà eccezione. Speravo di riuscire a superare tutta la cresta prima che scoppiasse il temporale, ma non ci riusciamo e ritengo una fortuna essere colpiti “solo” da una copiosa e memorabile grandinata, mentre i fulmini si scaricavano a notevole distanza, inizialmente alla nostra sinistra nell’area del Colac, del Gran Vernel e della Marmolada, poi a destra sui crinali di Costabella e dei Monzoni.
Alle 17:30 siamo al rifugio e ci ricongiungiamo col resto della compagnia, e mentre aspettiamo in allegria l’ora di cena, verifichiamo gli altimetri rilevando che in totale abbiamo coperto un dislivello positivo di circa 1350 m, ma stiamo tutti bene e il morale è alto. Domani ci aspetta la ferrata Kaiserjager, anche se meno impegnativa di quella odierna, tutt’altro che banale.
Ottima cena e piacevole serata parlando dell’esperienza vissuta e di vari argomenti, e verso le 10 a letto.
Domenica mattina sveglia alle 06:30′, colazione e si ricomincia. Uno però si è reso conto di avere troppe vesciche sui polpastrelli delle mani, un altro non è in condizioni ottimali ed entrambi decidono di aggregarsi agli escursionisti, mentre altri che ieri presumibilmente non sarebbero stati in grado affrontare la Magnifici 4, oggi ci provano, quindi, rimescolate le carte (cioè i partecipanti) ad attaccare la via siamo in dodici.
La partenza, ai meno esperti appare scoraggiante e avverte da subito quali difficoltà si potranno incontrare, comunque nessuno demorde e con una determinazione granitica che sopperisce la ridotta esperienza, si arrampicano fino al passaggio chiave, determinato da un salto verticale di circa tre metri con pochi appigli e il cavo in posizione asimmetrica rispetto al diedro. Qui qualcuno non riesce a passare. Dalla coda del gruppo mi porto nel punto critico e contribuisco al prezioso aiuto di Mauro, che con la corda calata da sopra, mette al sicuro da eventuali (brevi, vista la frequenza di fittoni) scivolate lungo il cavo d’acciaio, incoraggiando gli amici che sentendosi trattenuti, procedono senza pensieri con le proprie forze.
La giornata è radiosa, i passaggi con difficoltà rilevanti non sono molti e la risalita si svolge senza problemi. La parte del gruppo più veloce ormai ci ha distanziato e non vi è più alcun pericolo di caduta sassi.
In vetta al Col Ombert la soddisfazione è al massimo, ci scambiamo i rituali complimenti, riprendiamo fiato, mangiamo qualcosa, ci godiamo qualche attimo di meraviglioso panorama ed iniziamo la discesa. Cento metri più in basso, deviamo dal tragitto principale, che scende in val Contrin, risalendo brevemente ad un passo secondario, dove manufatti in pietra e travi in legno resistono alle intemperie da centocinquanta anni, testimoniando la consistente presenza di militari austroungarici, durante la Grande Guerra.
Alla testata della val San Nicolò, ci attendono gli escursionisti, scesi da un sentiero alternativo a quello di salita, che in principio si abbassa ripido e sconnesso, dove in passato alcuni pali di legno formavano facili gradini. Più giù, le radici dei radi larici non riescono ad impedire alle piogge torrenziali (come quelle di ieri e di stanotte) di erodere la traccia in terra battuta, trasformandone alcuni tratti in profondi canalini. Infine, nelle vicinanze della base della teleferica che serve il rifugio, si immette sulla parte terminale della stradina di fondovalle con pendenza notevolmente inferiore e nei pressi della Baita alle Cascate chiude il giro ad anello.
L’ora di pranzo sarebbe quella giusta, la fame non manca, ma siamo in tanti, il locale è pieno e c’è da aspettare troppo. Ricompattato il gruppo, ripercorriamo i quasi quattro chilometri che ci separano dal parcheggio e risaliti in auto, poco più a valle in località Malga Crocefisso, finalmente troviamo posto per consumare una pastasciutta e salutarci come si conviene dopo un week-end trascorso in buona armonia e vissuto intensamente.
Come previsto in autostrada troveremo rallentamenti, ma fortunatamente mai coda ferma.

Franco Brigoni