Descrizione Progetto

Martedì 1 Agosto
Come consuetudine di buon mattino, il gruppo Trekking si ritrova nel piazzale Zona Bersaglio, dieci elementi di cui due signore alla prima esperienza escursionistica di più giorni. Il morale è alto, e compattate le due macchine partiamo alla volta della Valle Camonica – Edolo – Passo Aprica – e finalmente S.Caterina Valfurva.

Questa ultima località è affollata di turisti e si respira un’atmosfera vacanziera, complice la meravigliosa giornata di sole e la temperatura troppo estiva. Raggiungiamo il piccolo e affollato parcheggio a Niblogo, scarichiamo gli zaini con tutti i materiali e i due autisti portano una macchina al parcheggio albergo dei Forni, per assicurarci il mezzo di ritorno al termine dell’avventura. Intanto il gruppo appiedato si concede una ulteriore sosta ristoratrice, in attesa del fuoristrada – taxi che accorcerà il lungo tragitto fino alla Malga Campo.
Dopo circa un’ora siamo in viaggio, stretti come sardine in scatola sul “Rover” dovendo fare posto a due turiste milanesi fino al rif. Campo, poco dopo arriviamo alla Baita del Pastore (2168 m) e da qui proseguiamo a piedi, obiettivo il Bertarelli. Il morale del gruppo è alto e la salita al rifugio inizia con alcuni tornanti e subito dopo il sentiero, aggira un costone puntando verso il versante sud dello Zebrù, sulla sinistra la imponente cima del Thurwiser (3652 m) con la gigantesca frana staccatasi dai suoi versanti meridionali. Già il fotografo del gruppo, soprannominato “Scatto Matto” inizia a lavorare, qui i panorami non mancano. Il Rifugio Bertarelli ci attende, al nostro arrivo nel cortile incrociamo un gruppo di giovani ragazzi con insegnanti e accompagnatori che fortunatamente stanno lasciando il rifugio. Tutto il gruppo, circa cinquanta elementi, era sprovvisto delle più elementari attrezzature per le gite in quota. Senza scarponcini, ma scarpe di stoffa alla moda, nessun zaino se non qualche marsupio, cellulare sempre acceso, e già i primi metri in discesa si puntellavano a vicenda, intimoriti dal largo e comodo sentiero, ci siamo chiesti in che condizioni saranno arrivati al parcheggio sotto Niblogo, 1300 metri di dislivello in discesa. Intanto i gestori ci accolgono calorosamente e ci fanno accomodare in una casetta dormitorio che fa da supporto al rifugio, il locale è accogliente e dotato di bagni e persino di stufa. Il pomeriggio scorre tranquillo e assonnato, ci guardiamo attorno mentre lo staff del Rifugio lavora per ripristinare il funzionamento del generatore di corrente momentaneamente fuori uso. Naturalmente a questa quota il telefono non ha campo e allora tutti alla ricerca del punto fortunato nel tentativo di comunicare con casa; tutto inutile. Come sempre nel pomeriggio precedente alla salita del giorno dopo, andiamo a visionare l’itinerario. Il passo si raggiunge in dieci minuti, davanti a noi il ghiacciaio si è ormai diviso in due ben distinte lingue, la prima facile da superare, la seconda si presenta con una gobba liscia con pendenza stimata sui 35/40° con crepacci evidenti, da questa posizione non si nota la cima e neanche il bivacco Citta di Cantù. Ormai è sera, il sole tramonta con i suoi spettacolari colori. Durante la cena (menu fisso), conosciamo l’alpinista Marco Confortola, al suo decimo ottomila. Ci presentiamo come Cai Castiglione e subito si ricorre al ricordo di Fausto Destefani. Simpaticamente, imbrogliando sulla sua età anagrafica, conta di entrare nell’olimpo dei quattordici ottomila entro pochi anni. Il dopo cena finisce con il classico digestivo all’esterno, tra una chiacchiera e l’altra. Improvvisamente si avvicina uno stambecco e quasi incurante della presenza umana, bruca indisturbato. Poi è il turno di una volpe; animali abituati a venire a elemosinare gli avanzi della cena. Questi fanno bella mostra di sé e si lasciano fotografare tranquillamente.

Mercoledì 2 Agosto
Sveglia ore cinque, la notte è trascorsa tranquilla, a colazione le solite facce assonnate, ma dopo un po’ tutto torna alla normalità. Questa mattina partiamo in otto, Emma e Silvana ci aspetteranno in rifugio e quindi si alzeranno tardi. L’avvicinamento al passo è breve, circa dieci minuti, ma la rampa di salita a freddo è come sempre fastidiosa, per fortuna subito dopo scendiamo verso la lingua glaciale, delle propaggini sud dello Zebrù. Formiamo le cordate, con uno schema precedentemente pianificato. Due cordate da tre elementi e una da due, nella scelta dei componenti si è cercato di equilibrare la capacità e esperienza per questo tipo di salita. Riusciamo ad imbragarci abbastanza velocemente, alcuni sono quasi alla prima esperienza su ghiacciaio e la composizione dei vari nodi richiede come solito un aiuto reciproco. Quindi iniziamo a salire subito le grandi spalle della lingua di ghiaccio fino alla spianata superiore, i ramponi mordono bene e superiamo gli innumerevoli solchi dei torrentelli superficiali. Nella parte centrale della lingua glaciale scorre un vero fosso con acqua corrente, il cui superamento richiede un salto e ci da occasione per immortalare diverse immagini acrobatiche. Proseguendo teniamo la direzione verso la parte adatta a scendere da questa lingua di ghiaccio, e in lontananza si intravedono gli ometti con tracce di sentiero. Nel frattempo sulla superficie del ghiaccio appaiono le classiche tracce degli sfasciumi di guerra, assi di baracche, fili e reticolati, qualche suola di scarpone, qualche oggetto metallico arrugginito non ben definito, questo materiale scende dalle creste ormai da cento anni.
Raggiunto il termine della prima lingua, viaggiamo in conserva per ghiaione, fino alla vedretta dello Zebrù, e ricomposte le cordate cominciamo a salire la gigantesca gobba di ghiaccio, stimata attorno ai trentacinque – quaranta gradi, fino alla martoriata serie di crepacci nel punto di cambio pendenza. Riconosciamo davanti a noi due ragazzi partiti prima di noi dal Rifugio, ora sono titubanti davanti alla serie di profondi crepacci che sbarrano la salita alla parte superiore del ghiacciaio, infatti si consultano fra di loro e decidono di tornare indietro. In lontananza davanti a noi una coppia ci precede, sembrano sicuri e motivati, ma più avanti uno strato di neve uniforme copre tutti i vari crepacci e li vediamo spesso a turno sprofondare con le gambe in insidiosi buchi nella neve, noi proseguiamo ancora per un tratto e ci rendiamo conto di quanto sia rischioso continuare. Ormai l’ora tarda, il caldo che rende la neve non portante, e i vari crepacci da aggirare in continuazione, suggeriscono che sia saggio rinunciare alla meta proposta, il Bivacco di Citta di Cantù. Pertanto la valutazione sui tempi di salita, con il clima attuale, suggerisce la partenza dal rifugio in piena notte. Quindi dopo la consueta foto di gruppo, si ritorna facendo ben attenzione ai pericoli di una discesa su ghiaccio, in questo caso tutto va per il meglio e un’ora dopo siamo alle pendici sassose della base, tutti siamo entusiasti della salita tecnica e soprattutto della discesa ancora più delicata. Personalmente ho tirato un sospiro di sollievo alla fine, alcuni componenti delle cordate sono alla prima esperienza su ghiaccio ripido, e inciampare o peggio la perdita di un rampone, con una maldestra postura del corpo, avrebbe potuto causare una scivolata comunque rovinosa, se non un grave incidente. Ritorniamo verso il rifugio, ripercorrendo l’itinerario del mattino .
Al Passo ci incontriamo con Emma e Silvana alle quali raccontiamo la nostra esperienza della giornata alpinistica, sicuramente terminata un pochino precocemente, ma per oggi non è stato possibile fare altro. Inoltre, esaminata dal ghiacciaio, la via di salita per la Cima Miniera si presenta impossibile da percorrere. Infatti, come ci confermerà poi il Rifugista, nessuno ormai sale per questo itinerario ridotto ad un ammasso di sfasciumi, e tanto meno è fattibile la discesa sul vecchio itinerario alpinistico che portava in quota verso il Rif. Casati.
Oramai, tornati in rifugio, ci rifocilliamo e al pomeriggio, al cospetto di una bellissima giornata estiva, per ingannare il tempo, attrezziamo una “edicola votiva” con una manovra di corda, per ripassare le varie manovre. Operazione partita per gioco, finisce per interessare quasi tutto il gruppo. Scende la sera, con i suoi colori, e come consuetudine si ripresentano le Volpi e gli immancabili stambecchi a fare bella mostra di se.

Giovedì 3 Agosto
Oggi è giornata di trasferimento, pertanto sveglia con orari normali e colazione. Dopo i rituali saluti e ringraziamenti alla gentilissima signora del rifugio, ci incamminiamo per sentiero 30b, intorno sulle scoscese balze rocciose, appare un nutrito gruppo di stambecchi; nei giorni precedenti non si erano mai mostrati. Il sentiero intanto scende di quota abbastanza rapidamente, per poi deviare verso est in direzione del passo Zebrù (3065m), adesso si viaggia in falsopiano entrando e uscendo in continuazione da gole e frane sassose. Nessuna traccia di altri animali, forse in basso sul fondo del vallone con il fiumiciattolo, albergano marmotte. La giornata si presenta stupenda, con cielo azzurro e senza vento, anche oggi farà caldo. Arriviamo in prossimità del Passo verso mezzogiorno, sostiamo in compagnia di alcuni gitanti che sono risaliti dal Rif.Pizzini. Davanti a noi si presentano panorami superbi, il monte Pasquale, il Cevedale, e vista da Nord la catena delle tredici Cime, riconosciamo facilmente il Tresero, il S.Matteo, Punta Taviela e il Vioz. I ricordi da parte mia ritornano al passato, quando percorsi con altri compagni di avventura, tutta la cresta da ovest a est. Davanti a noi possiamo vedere il resto dell’itinerario di oggi, sotto in basso il Pizzini, e di seguito il sentiero tortuoso che risale con cinquecento metri di dislivello, la barriera di sfasciumi che fa da argine al ghiacciaio del Cevedale, sulla cresta il Rif. Casati (3270 m).
Si riparte, in breve siamo al Pizzini, affollatissimo in piena stagione estiva, dove ci fermiamo per una birra e uno spuntino veloce. Serviranno quasi altre tre orette, per raggiungere il Casati. Il rifugio si presenta ormai alto sopra le propaggini del ghiacciaio, addirittura la balconata esterna da un lato sta cedendo, la struttura del fabbricato presenta evidenti crepe, in futuro necessiterà di una ristrutturazione con consolidamento. Ci sistemiamo in due camerette e ognuno passa il resto del pomeriggio, in attività libera per ritrovarsi poi in salone in attesa della cena. Anche oggi, il tempo sempre stupendamente bello, ci ha permesso di godere e fotografare i panorami circostanti e lo splendido tramonto serale. Il dopo cena trascorre in piacevole compagnia, pianificando la logistica del giorno dopo. Non tutti andranno sul Cevedale, Emma e Silvana opteranno per la vicina Cima di Solda (3387m) su sentiero escursionistico. Renato e Flavio attraverseranno il ghiacciaio per raggiungere la cresta dei ”tre cannoni”.

Venerdì 4 Agosto
(Relazione di Franco)
Venerdì mattina 4 agosto, è l’alba quando in sei usciamo dal tepore del rifugio Casati e indossiamo gli imbraghi direttamente sul terrazzo. Nonostante l’ora, a 3270 m di quota la temperatura non è rigida, il cielo è terso e promette una magnifica giornata. Con me ci sono, Simone, Mario, Rocco, Matteo e Silvano.
Fatti pochi passi scendendo una ventina di metri su roccia, raggiungiamo il margine del ghiacciaio, indossiamo i ramponi, ci leghiamo in due cordate da tre e partiamo seguendo l’evidente traccia. Piccoli rigagnoli di fusione stanno già solcando la superficie ghiacciata.
Dopo una breve traversata diagonale, aggiriamo il primo risalto e da subito troviamo crepacci che ci costringono ad intraprendere un percorso tortuoso, molto più lungo di quanto sarebbe stato possibile, in linea retta, se il ghiacciaio non fosse così devastato. Il dislivello che ci aspetta e di soli 500m, ma pur mantenendo un passo sostenuto, il tempo scorre e la progressione non è ottimale.
Risaliti sul catino superiore innevato, prima dell’ultimo salto più ripido, un componente della cordata, si rende conto di avere problemi con i ramponi e per non intralciare o correre rischi, nonostante gli incoraggiamenti dei compagni, decide di fermarsi ed aspettare al sole in posizione di assoluta sicurezza.
Proseguiamo. La traccia ora entra in nel cono d’ombra della cima Zufallspitze, la frequenza dei crepacci diminuisce e la pendenza aumenta. Venti o trenta metri sotto la cresta rocciosa, la neve scompare ed il ghiaccio grigiastro si impenna, la forte inclinazione incute timore: un passo falso potrebbe essere estremamente pericoloso.
Con molta cautela e scalinando con la piccozza, saliamo perpendicolarmente per poi attraversare al margine delle rocce di cresta, arrivando finalmente allo spartiacque innevato che in pochi minuti, benché affilato e per nulla banale, ci conduce in vetta; a qualche metro una baracca della prima guerra mondiale, un tempo sommersa dal ghiaccio, ora emerge quasi completamente, testimoniando le condizioni climatiche di disgelo che stiamo vivendo.
Siamo in vetta. Anche il Cevedale “è messo nel sacco”, la mattinata è radiosa, il panorama sconfinato e la soddisfazione palpabile. Sotto la croce ci scambiamo i complimenti di rito e non mancano ovviamente gli scatti fotografici, così come l’identificazione di molte cime, tra le innumerevoli che ci circondano. Riprendiamo fiato, mangiamo qualcosa e dopo una buona mezz’ora di pausa iniziamo a scendere.
Il passaggio delicato su ghiaccio molto ripido, dove la concentrazione deve rimanere al massimo, ci attende. Con tutta la pazienza e la circospezione dovuta lo affrontiamo, ancora scalinando dove necessario; i ramponi stridono ed il rumore delle piccozze ricorda il vetro che va in frantumi, ma l’estensione del tratto critico, fortunatamente è limitata e ne usciamo senza problemi.
Tiriamo un sospiro di sollievo. Poco dopo, alla base, sul pianoro innevato riprendiamo in cordata l’amico con problemi ai ramponi e con calma, seguendo a ritroso le nostre orme arriviamo al rifugio, dove ci ricongiungiamo con gli amici escursionisti ed “artiglieri” per rilassarci e pranzare in allegra compagnia.

(Relazione di Renato)
In contemporanea agli amici, che risalgono il ghiaccio del Cevedale, io e Flavio legati in cordata, ci avviamo verso la cresta dei Cannoni, chiamata in questo modo per la presenza di tre bocche da fuoco della prima guerra mondiale. Non abbiamo fretta, la distanza non arriva ai due kilometri, e nonostante i crepacci non troppo larghi possiamo dirigerci in maniera retta verso la meta. L’ultimo tratto del percorso è tutto un rigagnolo di acqua, a volte anche in larghe pozzanghere, significa che il disgelo comincia presto al mattino, e dove c’è acqua in superficie non esistono crepacci. Nei pressi della cresta già incontriamo tracce di schegge e punte di proiettili, segni inequivocabili che le artiglierie italiane avevano preso di mira questo posizione. In anni precedenti ero già stato in questo posto e i tre cannoni erano stati depredati e rovesciati alla rinfusa, ma adesso, come spiega la locandina in ferro posta in loco, sono stati riposizionati nelle ricostruite piazzole e puntati verso gli obiettivi originali. Questi pezzi di artiglieria, sono stati costruiti a Torino verso la fine del 1800 e destinati all’inizio della guerra sui confini del Carso Triestino a difesa dei confini Italiani; catturati dagli Austroungarici, nelle battaglie dell’Isonzo, furono trasportati in quattro mesi su questa cresta.
Nel punto più alto della cresta, svetta una croce con un monumento a ricordo dei tragici fatti di quei tempi lontani. Da questa posizione intanto, possiamo seguire la salita della cordata alpinistica, I conti non ci tornano: solo cinque persone risalgono la dorsale finale, sapremo dopo che uno si era fermato a causa di problemi tecnici. Oltre a tenere sotto controllo la situazione, passiamo il tempo ad ammirare il panorama circostante. Ci troviamo in un mare di ghiaccio, la parte ghiacciata che scende dalla Zuffallspitze e sprofonda nella val Martello è tutta un immenso crepaccio, e a vista il ghiaccio arriva ancora quasi fino al rifugio Martello. Diversamente verso Ovest, la pala del Gran Zebrù non è più ricoperta, e il canale della bottiglia è diventato uno sfasciume, ormai la salita è diventata una via di roccia, con tratti di misto.
Intanto intravediamo Franco e compagnia scendere dal Cevedale, ci incamminiamo anche noi, prendendo il giro di ritorno con tracciato diverso, con la speranza di trovare qualche reperto bellico interessante, ma inutilmente.
Verso mezzogiorno ci troviamo tutti insieme a tavola, la salita al Cevedale è stata una bella esperienza, il pezzo finale ha richiesto impegno e attenzione con tanto di rischio; il morale è alle stelle e si brinda al successo.
Nel pomeriggio, ritorniamo tutti insieme anche con Emma e Silvana (prima volta con i ramponi ai piedi) alla cresta dei Cannoni, per concludere la giornata positivamente.
Ultima sera in quota, cena e dopocena con tanto di partita a carte, e quindi meritato riposo, domani sveglia tarda e scenderemo nel fondo valle.

Sabato 5 Agosto
Ultima colazione in Rifugio, solito latte, caffè lungo, tè ecc. la notte è trascorsa tranquilla e la sveglia verso le sette, non irrita nessuno. Anche oggi giornata bellissima e assolata, un po’ dispiace abbandonare il Casati, un’oasi tranquilla e fresca pensando al calore del fondovalle.
La discesa ripida e “spaccaginocchia” ci porta rapidamente in basso, mentre altre persone risalgono faticosamente il ripido sentiero, alla volta del Rifugio. Sulla nostra sinistra le propaggini del ghiacciaio del Monte Pasquale, un torrente impetuoso sgorga inesorabilmente verso il basso con acque marroni, è la veloce agonia della lingua di ghiaccio.
Sosta ristoratrice al Pizzini, che raggiungiamo poco dopo, sono già le nove di mattina e gruppi di bikers sostano attorno al locale, ormai la mountainbike ha messo le ruote da moto e motori elettrici, dove non si può stare in sella pedalando si porta in spalla, basta che ci sia un sentiero e si possa passare senza dover usare le mani per attaccarsi ad un cavo. Cosi succede che mentre si cammina, di sentire il campanello di una bici che chiede strada anche a tremila metri ……
Dopo queste fastidiose considerazioni, ripartiamo per la strada che scende all’albergo dei Forni; adesso la discesa è morbida e regolare, incontriamo decine di persone che risalgono, con questo bel tempo, ci sarà folla attorno al Pizzini.
Finalmente il parcheggio, la macchina di Franco ci attende da cinque giorni, e partiamo subito per il recupero della mia vettura nel parcheggio di partenza, i restanti in attesa si ristorano al bar dell’albergo. Ritrovo la mia macchina miracolosamente intatta, senza un graffio; visto il parcheggio selvaggio sulla curva, presso il minibar e con la coda quasi nell’area di manovra di tutte le macchine in arrivo al parcheggio, suggerito dal tassista del fuoristrada nel giorno della partenza. Questa operazione di recupero ci costa un’ora buona, più una mezzora un per lavaggio ristoratore nel torrente, quindi concludiamo come da tradizione l’avventura, nel centrale ristorante di S.Caterina.

Renato Busseni – Franco Brigoni